Introduzione


Abbadia Lariana è il primo paese che si incontra sulla sponda orientale del Lago di Como, dopo aver lasciato la città di Lecco.

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Cartina di Abbadia Lariana. Il Museo Setificio Monti è segnalato con il numero 1 su tondo marrone

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Cartina di Abbadia Lariana: retro.

Le origini del paese sono antichissime: come suggerisce il toponimo, il primo nucleo abitato sorse intorno ad un’abbazia benedettina risalente al IX secolo (di cui oggi non si conservano più tracce), secondo la leggenda fondata da Desiderio, re dei Longobardi.
Collocato alle pendici meridionali delle Alpi orobiche, l’intero territorio ha svolto fin da tempi così remoti il ruolo di snodo commerciale, crocevia tra la penisola italica e i territori mitteleuropei.

La grande fortuna economica della sponda orientale del Lario affonda in parte le sue origini nel Quattrocento quando, come nel resto territorio lombardo, si assiste ad un’enorme crescita delle attività legate alla produzione della seta. Questo fu in parte dovuto ad un provvedimento emanato nel 1470 da Gian Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, che impose a tutti i proprietari terrieri la piantumazione di un certo numero di piante di gelso commisurato all’estensione dei propri possedimenti, pena il pagamento di una multa per ogni albero non piantato.

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Piero del Pollaiolo, Ritratto di Galeazzo Maria Sforza, 1471
Galleria degli Uffizi, Firenze

Nel distretto di Lecco l’attività di lavorazione della seta diventa tuttavia capillare soprattutto dopo la caduta di Napoleone e la disgregazione della Repubblica Cisalpina; al loro ritorno gli austriaci, per opporre concorrenza alle industrie piemontesi e francesi, rilanciarono la produzione serica lombarda, favorendo, anche economicamente, coloro che se ne occupavano.

Con l’incremento della produzione si passa da una lavorazione familiare, ancora diffusa alla fine del ‘700, ad una precoce meccanizzazione dei processi; a partire dal 1815 si assiste nel lecchese alla nascita di una vera e propria industria serica.

Anche Abbadia partecipò a questa innovazione: del resto già da lungo tempo il territorio del piccolo comune aveva visto il sorgere di diverse manifatture. Questo fu possibile grazie allo sfruttamento delle risorse idriche, in primo luogo della cosiddetta Roggia dei Mulini, una derivazione del torrente Zerbo, da cui si distacca ai piedi del monte Borbino ( a circa 270 m s.l.m.), dove il fiume crea la sua ultima cascata.

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Un'immagine della Roggia dei Molini nel punto in cui si distacca dal Torrente Zerbo
Rivista "Abbadia Oggi",n. 1 del 21 Gennaio 1983, p. 2 "Acqua per un filatoio"

Il primo documento che la attesta risale al 1495: a quella data un certo Tommaso Alippi ottiene dagli Sforza il permesso di costruire la roggia per far funzionare macine e mulini al servizio di alcune famiglie locali.
Sarà questa la principale fonte di energia del paese, lungo il cui percorso, che si snoda fino al lago per un totale di 900 metri, sorgeranno diverse manifatture e opifici: già nel catasto teresiano addossati al corso d’acqua sono rappresentati tre mulini da cereali, tre frantoi da olio e una folla.

È proprio la presenza della risorsa idrica che permetterà, già alla fine del XVIII secolo, lo sviluppo della manifattura serica ad Abbadia Lariana. Al 1793 risale infatti l’apertura del primo filatoio di Abbadia, costruito in riva al lago da Giuseppe Antonio dell’Oro.

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Uno dei tratti ancora in vista della Roggia, come appare oggi, purtroppo privo di acqua
Foto: Carla Ardis

L’arrivo degli austriaci non fece che dare impulso a queste manifatture, anche grazie all’immediato attivarsi,nel 1817, della costruzione della attuale Strada provinciale 72, la Strada Militare dello Stelvio e dello Spluga, che mette in comunicazione i paesi ubicati lungo il lago.

È in questo quadro che va collocata la decisione presa nel 1817 da Pietro Monti, esponente di una famiglia di setaioli della bassa Lombardia, di edificare un filatoio proprio ad Abbadia. La nuova costruzione inglobò un edificio quattrocentesco, poi ampliato nel ‘600, che ospitava dapprima un mulino da grano e poi una folla da pannilana. Entrambe le manifatture precedenti utilizzavano come fonte di energia l’acqua della sopradescritta Roggia, che divenne il motore anche del nuovo opificio.

La fabbrica, che ospitava anche un settore destinato ad abitazione della famiglia Monti, ebbe immediatamente un discreto successo, anche grazie alle doti imprenditoriali dei proprietari e, nella seconda metà dell’Ottocento venne ampliata, con la costruzione di una filanda; si venne così a creare un complesso composto da due edifici disposti su un impianto a L.

Tuttavia la filanda cesserà la sua produzione nel 1903, mentre il filatoio, dapprima affidato a setaioli affittuari, termina la sua attività nel 1934.

Questo fu dovuto da un lato a una rapida evoluzione delle tecnologie produttive, che rese gli impianti obsoleti al punto che il loro abbandono e l’apertura di un nuovo complesso nella vicina Mandello del Lario fosse più economico che non il loro adeguamento; ma anche al fatto che l’acqua della Roggia cominciò a scarseggiare, a seguito della costruzione di una diga in località Campelli, necessaria per la costruzione della centrale elettrica che forniva energia alla Moto Guzzi, nella vicina Mandello.

Il complesso di Abbadia andò incontro a un lento e inesorabile declino: gli edifici vennero affittati a una fonderia che, installatasi nella filanda, ne smantellò completamente i macchinari; si salvarono, almeno in parte, quelli del filatoio, adibito a magazzino; inoltre il grande torcitoio circolare venne venduto nel 1965 alla famiglia Abegg, setaioli di origine svizzera con molte proprietà nel comasco e nel bergamasco, che, dopo averlo restaurato, lo donarono, ancora funzionante, al Museo Technorama di Winterthur, Zurigo.

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L'edificio della Filanda come appariva al momento dell'acquisizione. Si notino i muri anneriti dall'attività della fonderia
Archivio Fotografico Civico Museo Setificio Monti

Nel 1978 l’amministrazione comunale acquisì entrambi gli immobili con l’intento di farne delle scuole; tuttavia, presa coscienza dell’importanza dell’edificio e della testimonianza che esso costituisce, nel 1981 si decise di intraprendere un’impegnativa opera di archeologia industriale, allo scopo di recuperare un’unità produttiva di filati serici così come si era venuta configurando a metà dell’Ottocento.

Grazie al supporto del Museo Technorama di Winterthur, che lo ha concesso in comodato al Comune di Abbadia Lariana, il grande torcitoio circolare, dopo un quarto di secolo, è tornato nella sua originaria collocazione. L’indispensabile lavoro di molti volontari e di alcuni esperti ha permesso non solo di ricostruirlo, ma anche di mantenerlo funzionante, ora grazie all’energia elettrica.

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Il torcitoio in una fase iniziale del suo restauro in situ
Archivio Fotografico Civico Museo Setificio Monti

È proprio il grande macchinario ottocentesco, uno dei pochi ancora integri in grado di funzionare costituisce la principale attrazione del museo. Sul retro della macchina si possono poi osservare i resti, ancora da restaurare, di un torcitoio in quadro, una macchina più recente, di origine francese.

Oltre agli spazi del torcitoio, nelle sale espositive sono ospitati attrezzature e oggetti accessori relativi alla lavorazione della seta, provenienti da filande e filatoi lariani coevi al complesso del Monti ma ora scomparsi.

È ancora visitabile la camera di soffocazione ad umido, dove i bozzoli dei bachi da seta venivano collocati per procedere all’uccisione della crisalide, necessaria per la lavorazione. Nel cortiletto esterno, al piano superiore, è visibile il forno del 1887 che consentiva di raggiungere le alte temperature necessarie alla soffocazione.

Inoltre sul retro dell’edificio è possibile osservare, restaurata da un gruppo di volontari, la grande ruota idraulica in ghisa e ferro che un tempo azionava il torcitoio, e intuire il percorso della Roggia nel suo ultimo tratto.

Sicuramente ciò che ha permesso al filatoio Monti di essere vincolato ai sensi della legge 1089/9391 come unico esempio in Europa della secolare tecnologia della lavorazione della seta non è soltanto il grande torcitoio ma anche il fatto che l’esposizione si snoda all’interno dell’edificio che ha conservato l’aspetto che aveva a metà Ottocento, rendendolo effettivamente una delle testimonianze più significative dello sviluppo dell’industria serica nel territorio lariano.

La guida che andrete a leggere vi condurrà nelle sale espositive con l’obiettivo di ripercorrere le fasi della lavorazione serica attraverso gli oggetti in mostra; proprio perché il Museo conserva ancora il suo aspetto di spazio produttivo, l’esposizione è profondamente condizionata dagli spazi al punto che la logica di collocazione dei reperti rispetta ancora le esigenze della produzione e non quelle dell’ordine logico delle diverse fasi.

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