Notizie storiche
Il nome Monti è il nome di una famiglia di setaioli della Bassa Lombardia. A seguito della caduta di Napoleone, gli Austriaci, tornati al potere, rilanciarono le attività produttive; il loro scopo era quello di ricostruire nel Lombardo – Veneto un’industria serica in grado di fare concorrenza a quella piemontese e francese.
Approfittando del favore del governo, Pietro Monti si trasferì ad Abbadia Lariana e nel 1818 costruì il filatoio, inglobando una struttura produttiva minore, impiantata già nel ‘400 come mulino da grano e poi trasformata nel ‘600 in follo da pannilana. Il luogo era stato scelto non tanto per la presenza della strada, che allora ancora non collegava Lecco alla Valtellina, quanto piuttosto per la presenza della già citata Roggia dei Mulini, una derivazione del torrente Zerbo, che avrebbe fornito alla fabbrica la necessaria forza idraulica.
L’investimento iniziale del Monti fu notevole; egli ampliò la struttura preesistente, realizzando un edificio di ben cinque piani che ospitava, oltre al nucleo produttivo vero e proprio, anche i magazzini, gli uffici amministrativi, nonché l’abitazione dei proprietari, accolta nell’ala Sud del complesso.
La zona produttiva era interamente occupata, nei primi anni di attività, da due torcitoio circolari; uno per la torsione destra, con quasi 1500 fusi, e uno per la torsione sinistra, che ospitava circa 1000 fusi.
Si tratta di macchine all’epoca considerate medio – grandi dal momento che si sviluppavano in altezza per un totale di 11 metri, articolandosi su quattro ballatoi; erano azionate con l’energia idraulica, fornita dal movimento di due ruote di legno a secchi colpite in alto dall’acqua della Roggia.
Al quinto piano trovavano poi posto macchine accessorie, per addoppiare, incannare, e pulire i fili.
Fin dall’inizio i Monti producevano filati di seta greggia, trame e organzini, destinati alla tessitura; già all’epoca infatti il distretto lecchese era specializzato nella torcitura, mentre la fase della tessitura era localizzata per lo più a Como, dove questa attività vantava una tradizione secolare.
I Monti si rivelarono immediatamente imprenditori molto capaci, in grado di mantenere fedeli i clienti grazie alla buona qualità della loro lavorazione, inoltre seppero immediatamente creare un buon rapporto con la popolazione locale; infatti fin da subito organizzarono la distribuzione di seme-bachi ai contadini perché allevassero in proprio i bachi da seta. In un primo momento a queste stesse famiglie rurali venivano affidate anche le operazioni di trattura e incannaggio. In questo modo i Monti si approvvigionavano localmente della materia prima per la torcitura, favorendo il benessere economico della popolazione locale, anche quella non direttamente coinvolta nel lavoro di fabbrica.
Questa capacità imprenditoriale permise loro di sopravvivere alla grande crisi che a partire dal 1855 colpì l’industria serica lariana. Tale crisi fu dovuta da un lato alla spietata concorrenza dei produttori tedeschi e inglesi, che avevano avviato una precoce meccanizzazione dei processi; dall’altro, causa sicuramente più devastante, alla comparsa della pebrina, una malattia che provoca l’atrofia del baco da seta, rendendolo non più capace di produrre il filo serico.
I Monti tuttavia seppero superare questa crisi; mossa sicuramente efficace fu l’importazione delle uova di baco dal Giappone, come dimostrano i telai seme-bachi con i timbri doganali orientali tuttora esposti in museo. Inoltre ampliarono la loro fabbrica, favorendone la modernizzazione.
Infatti nel 1869, approfittando anche della nuova condizione politica unitaria e dell’arrivo dei Savoia, i Monti fecero nuovi investimenti: il filatoio venne sopraelevato di un piano e il torcitoio a torsione destra, demolito, venne sostituito da tre torcitoi rettangolari di modello francese, capaci, nello stesso spazio, di triplicare la produzione.
Le vecchie ruote idrauliche in legno, ormai insufficienti a sostenere i ritmi produttivi, vennero sostituite da due più grandi in ghisa e ferro, una delle quali dal diametro di oltre sette metri.
Nello stesso anno, a fianco del filatoio, i Monti costruirono una filanda per la trattura dei bozzoli; l’edificio aveva aspiere meccaniche, bancali in legno e bacinelle in rame riscaldate col vapore generato da una caldaia in ferro. Si trattava di un ammodernamento notevole, sia per quanto riguarda i nuovi macchinari introdotti, sia perché in questo modo la famiglia ottenne una manifattura di setificio completa, in grado di partire dalla materia prima per arrivare ai filati di seta finiti.
La produzione aumentò a tal punto che la manodopera locale non fu più sufficiente, nonostante una parte del lavoro (incannaggio) venisse ancora affidato a domicilio; per questo motivo gli stessi proprietari allestirono ad Abbadia un dormitorio con annesso refettorio, per ospitare le lavoranti forestiere che si fermavano per tutta la settimana.
Gli affari prosperarono; i capitali accantonati permisero ai Monti di aprire, nel 1885, un nuovo complesso filanda-filatoio nella vicina Mandello del Lario, e diversi incannatoi vicino a Bellagio.
Ma nel frattempo era trascorso del tempo e la tecnologia era enormemente avanzata; perciò nel 1903, dopo soli trent’anni di vita, la filanda di Abbadia cessò l’attività perché troppo obsoleta. I Monti concentrarono i loro sforzi a Mandello e anche il filatoio venne dato in conduzione ad affittuari. Questi ultimi utilizzarono macchine e strutture sino all’esaurimento della loro efficienza produttiva, sopraggiunta nel 1934. La chiusura fu in parte dovuta anche al fatto che l’acqua ormai cominciava a scarseggiare per le opere di captazione per la nuova centrale elettrica della Moto Guzzi.
L’anno successivo morì anche Giustina Monti, l’ultima discendente diretta della famiglia; da quel momento tutte le proprietà passarono in eredità alla famiglia Cima.
Dopo alcuni anni di inattività, i nuovi proprietari affittarono entrambi gli edifici alla ditta Rosi, originaria del milanese, che li utilizzò per la propria manifattura, una fonderia per leghe leggere che produceva pezzi fusi per la non lontana Moto Guzzi.
L’impianto principale venne a svilupparsi nell’edificio della vecchia filanda, i cui arredi vennero completamente smantellati; l’ex filatoio venne invece adibito a magazzino, conservando, anche se molto danneggiati, i macchinari superstiti.
Nel 1960 la famiglia Abegg, setaioli di origine svizzera ma operanti nel lecchese, acquistarono, per il loro neonato museo di Garlate, le parti superstiti del torcitoio circolare sopravvissuto. La macchina, restaurata, venne poi donata, ancora funzionante, al Museo Technorama di Winterthur, vicino a Zurigo.
L’attività della famiglia Rosi continuò fino al 1975, dopodiché entrambi gli edifici del complesso Monti vennero abbandonati, finché, nel 1978, il Comune di Abbadia Lariana decise di acquistarli con l’intenzione di abbatterli e sostituirli con una scuola pubblica.
Tuttavia, presa coscienza dell’importante testimonianza che tali edifici offrivano, nel 1981 si decise di intraprendere una impegnativa opera di restauro; persa la speranza di recuperare gli interni della filanda, che, restaurata, fu adibita a scuola media, ci si concentrò solo sul vecchio filatoio.
Grazie anche alla collaborazione del museo di Winterthur, che ha concesso in comodato il torcitoio circolare, e al lavoro di diversi esperti e molti volontari che hanno restaurato sia la grande macchina sia le altre attrezzature, nel 1998 il Museo venne definitivamente aperto al pubblico.
Il vecchio torcitoio circolare, oggi azionato con un motore elettrico, funziona ancora regolarmente, ed è sempre carico di seta.
Nelle altre sale è possibile osservare altri oggetti e accessori relativi alle lavorazioni seriche di un tempo, provenienti anche da altre manifatture del territorio lariano.
Parallelamente all’apertura, proseguono i lavori di recupero dell’intero edificio. Sul retro del Museo è visibile nella sua collocazione originaria, interamente restaurata, la più grande delle due ruote idrauliche, mentre la più piccola è ancora da recuperare.
Gli spazi della vecchia abitazione della famiglia Monti sono stati resi fruibili dal pubblico mediante la loro riconversione in Biblioteca Civica.
Un gruppo di volontari opera per mantenere in efficienza la struttura e i macchinari e per recuperare nuovi spazi espositivi, con l’obiettivo di giungere all’apertura al pubblico della totalità dell’edificio.