La Sala della Giustizia
Ritornando nella Sala di Apollo, spostiamoci ora per raggiungere la Sala della Giustizia, situata sopra la Sala delle Urne del Mausoleo di Adriano.
Ricavata all'interno del nucleo centrale del Mausoleo di Adriano, quella che più tardi prese il nome di Sala della Giustizia doveva costituire un unico vano insieme alla soprastante Sala del Tesoro. Le murature in tufo e i segni di graffe che possiamo ancora vedere risalgono infatti al II secolo mentre la volta dipinta è del XVI secolo.
Possiamo ipotizzare che una prima Sala della Giustizia, risalente forse agli inizi del Cinquecento, vista la presenza dello stemma di papa Giulio II della Rovere sulla cornice della porta verso la Sala di Apollo, avesse le medesime dimensioni della sala romana. Decorata con l'affresco ancora visibile, l'aula fu, qualche decennio dopo, ridotta di dimensioni e il soffitto fu abbassato: Paolo III volle ricavare, al di sopra di questo, un ambiente "segreto", per poterci nascondere e conservare tutti i documenti e i beni che costituivano il suo patrimonio personale e quello della Chiesa di Roma.
La Sala della Giustizia prende il nome dalla destinazione d’uso che se ne fece nel Cinquecento, quando divenne aula di tribunale. In questa sala, secondo la tradizione, furono celebrati processi e lette condanne ai prigionieri che si trovavano rinchiusi nelle carceri del castello. Tra essi si ricordano i due umanisti Pomponio Leto e Bartolomeo Sacchi detto il Platina, accusati di un complotto contro l'autorità pontificia e la giovane Beatrice Cenci, celebrata, fra gli altri, da Stendhal, Shelley e Zweig, condannata nel 1599 per aver ucciso il padre violento. Meno certa è la celebrazione al Castello del processo davanti al Sant'Uffizio del filosofo Giordano Bruno, condannato per eresia da papa Clemente VIII a morire sul rogo in Campo dei Fiori. Con ogni probabilità, Bruno fu improgionato nel carcere di Tor di Nona, situato di fronte al Castello, sulla riva opposta del Tevere e da lì fu prelevato per essere condotto a Campo dei Fiori dove fu arso vivo. Un personaggio che fu incarcerato e probabilmente giudicato al Castello fu Giuseppe Balsamo, meglio noto come il conte Cagliostro condannato per la sua appartenenza alla massoneria.
Il processo a Cagliostro. Giovanni Balsamo, meglio noto come il Conte di Cagliostro, nato a Palermo nel 1743, notorio taumaturgo e imbroglione, aveva aderito alla massoneria ed era divenuto per dieci anni l'idolo di mezza Europa. Finché non cadde sotto il peso dei suoi stessi inganni: Cagliostro, accusato e poi assolto a Parigi per l'affare della collana della Regina, dovette comunque lasciare la Francia e dopo un passaggio per Londra e la Svizzera, ormai privo di risorse economiche, venne a stabilirsi a Roma, dove peraltro osò fondare una loggia massonica. La moglie, Lorenza, abituata ai fasti della vita mondana parigina non volle accettare le nuove condizioni e, volendosi liberare del marito, finì per denunciarlo al Sant'Uffizio. Le indagini della Curia portarono all'arresto di Cagliostro e, inaspettatamente, della stessa Lorenza. Le imputazioni erano pesantissime: Cagliostro era accusato di essere massone, di avere esercitato le arti magiche, di bestemmie, truffa e altri reati comuni. In attesa del processo, la notte del 27 dicembre 1789 Cagliostro fu imprigionato a Castel Sant'Angelo mentre Lorenza fu destinata al convento di Santa Apollonia a Trastevere. Come difensore dell'accusato fu nominato Monsignor Costantini, noto per la sua difesa dei poveri, il cui giuramento mostra la natura dei tribunali papali: Io avvocato concistoriale chiamato innanzi al Padre Commissario Generale della Santa e romana Inquisizione dopo avere toccato con le mani il sacrosanto Vangelo di Dio, postomi dinanzi, giuro e prometto di accettare il patrocinio affidatomi dal nostro devotissimo Papa Pio VI° a favore di Giuseppe Balsamo inquisito e carcerato per i motivi di cui è detto negli atti del Sant’Uffizio, di mantenere il segreto con fedeltà e di esercitare la mia opera con sincerità e buona fede al solo scopo di far ammettere le sue colpe e di farlo rinsavire benché io riconosca di essere ingiusta la difesa del denunziato. Il processo si concluse nell'aprile del 1790 con la condanna a morte di Cagliostro, commutata, per grazia del santo Padre Pio VI, nel carcere a vita nella fortezza di San Leo in Romagna, dove Cagliostro morì il 28 agosto 1795. La moglie Lorenza rimase rinchiusa nel convento di Santa Apollonia e di lei non si seppe più nulla.
Dalla Sala della Giustizia muoviamoci ora per raggiungere le due camere che facevano parte dell’appartamento fatto costruire da papa Clemente VIII Aldobrandini tra la fine del Cinquecento e l’inizio del secolo successivo.
Le camere Aldobrandini sono oggi destinate a sede espositiva e il loro attuale aspetto risale all'inizio del XX secolo. Nel primo ambiente possiamo vedere elementi architettonici provenienti da altre parti del castello, tra i quali il camino secentesco, un portale marmoreo, decorato con putti reggi-cartiglio inseriti all'interno di una lunetta, di scuola berniniana, e due portali in travertino, con sovrapporta in stucco, recanti le insegne di papa Clemente X Altieri, riferibili agli anni 1670 - 1676.
Ritorniamo indietro e, dopo aver attraversato nuovamente la Sala della Giustizia, giriamo a sinistra, per percorrere uno stretto corridoio che ci conduce al Cortile di Alessandro VI. Qualora fosse chiuso conviene tornare al cortile dell'Angelo per raggiungere il cortile di Alessandro VI passando per il camminamento superiore.