Sala 2: dal baco al filo di seta
La seconda ampia sala ci mostra il ciclo di produzione della seta, a partire dall’allevamento del baco da seta fino al tessuto. I pannelli mostrano il ciclo riproduttivo del baco da seta (bombyx mori), che veniva allevato dai contadini nelle case su letti fatti da assi di legno o graticci di canne, che potete vedere alle pareti.
Graticcio per bachicoltura: Durante il periodo di allevamento dei bachi da seta le case dei contadini si riempivano di graticci simili a quello esposti, costituiti da assi di legno o stuoie di canne intrecciate all’interno di un’intelaiatura lignea. I piccoli bachi nati dalle uova venivano messi sui graticci e alimentati con foglia fresca finemente trinciata; i letti dovevano essere periodicamente ripuliti per evitare malattie ai bachi.
La famiglia Monti consegnava ai contadini le uova (il “seme-bachi”) che, tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, quando germogliano i gelsi, venivano fatte dischiudere nelle case portando la temperatura a 25° con semplici incubatrici o mezzi più rudimentali (le uova erano poste sotto i letti, vicino al camino o a volte sotto i vestiti, per sfruttare il calore corporeo).
Alla schiusa i bacolini misurano circa 3mm e, attraverso 5 fasi larvali e 4 mute, raggiungono i 10 cm di lunghezza. Nelle prime fasi larvali, per favorire la masticazione dei bacolini la foglia era tritata finemente. Potete osservare nella sala un attrezzo utilizzato a questo scopo: il trinciagelso.
Trinciagelso: Questo strumento veniva usato dalle famiglie contadine durante l’allevamento dei bachi da seta. I bacolini appena usciti dalle uova sono già voracissimi (anche nei primi giorni di vita richiedono che venga loro somministrato cibo almeno tre volte al giorno), tuttavia non sono ancora in grado di cibarsi della foglia intera. Per tale motivo le foglie del gelso, appena colte ma ben asciutte, dovevano essere trinciate, in modo da ottenere delle strisce di piccolissime dimensioni, di cui i bachi erano in grado di nutrirsi.
Il trincia-gelso esposto, quasi interamente in legno, è costituito da una cassetta di legno all’estremità della quale è posta una lama di notevoli dimensioni. la cassetta veniva riempita di foglie di gelso che, azionando l’apposita rotella venivano spinte verso l’estremità, dove venivano tagliate dalla lunga lama. In questo modo, con poca fatica, era possibile trinciare numerose foglie di gelso, assicurando così il nutrimento ai bachi.
Al termine delle fasi larvali, i bachi “salgono al bosco”: si arrampicano su frasche predisposte dagli allevatori dove cominciano a filare il loro bozzolo.
Il baco secerne da un paio di ghiandole salivari modificate chiamate ghiandole della seta un filo composto per il 20% da sericina, una proteina che funge da collante, e per l’80% da fibroina, che costituisce la vera e propria fibra di seta. A contatto con l’aria la sericina si indurisce e compatta il filo che va a formare il bozzolo, entro cui il baco può completare la metamorfosi, al sicuro dai predatori.
Dopo due settimane dal bozzolo fuoriesce la falena adulta. Incapace di volare e priva di apparato digerente la falena vive solo pochi giorni in cui avviene l’accoppiamento e la femmina depone le uova per la generazione successiva. Poiché ogni femmina depone in media 450 uova, solo poche falene erano fatte fuoriuscire dal bozzolo per la riproduzione (circa 1 ogni 60 bozzoli), mentre tutti gli altri insetti erano essiccati all’interno del bozzolo per mantenere integro l’involucro esterno: ogni bozzolo è infatti costituito da un unico filo lungo fino a 1km, che l’uscita della farfalla spezza inevitabilmente, facendone crollare il valore.
Come per ogni animale allevato dall’uomo, esistono moltissime razze diverse di baco da seta, che si distinguono per colore, forma, numero di mute durante il ciclo, numero di generazioni per anno, origine geografica ecc.. Nel pannello esposto potete vedere alcuni bozzoli di diverse razze di bombyx mori provenienti dalla Stazione Sperimentale di Bachicoltura di Padova.
Nei bozzoli destinati alla produzione della seta le crisalidi erano quindi uccise tramite vari metodi di stufatura. Nella sala 6 del percorso potrete visitare la camera di soffocazione a umido del setificio, dove si svolgeva questa fase della lavorazione. Una volta che gli insetti all’interno erano stai essiccati, i bozzoli erano lasciati stagionare e quindi sottoposti a nuove fasi di trasformazione.
Il crivello è una macchina composta da due differenti sezioni:
- Spelaiatrice a tramoggia: Questa macchina veniva utilizzata per rimuovere la cosiddetta spelaia, cioè la sottile bava esterna che avvolge il bozzolo e che viene utilizzata dal baco da seta per aggrapparsi al bosco. Dal momento che presenta filamenti troppo soffici e disordinati, non veniva utilizzata per la produzione del filato di prima qualità. La spelaia veniva rimossa e scartata, e da essa veniva ricavato il cascame che, associato a filati di altre fibre, permette di ricavare filati per tessuti di qualità inferiore. Nella spelaiatrice i bozzoli venivano caricati dall’alto e sospinti verso una serie di piani inclinati, all’estremità di ciascuno dei quali era posto un fuso girevole ad alta velocità, con superficie rugosa. La spelaia veniva così rimossa e dalla macchina fuoriuscivano i bozzoli, raccolti in grandi ceste sottostanti oppure incanalati direttamente nel tamburo rotante.
- Tamburo Rotante: Il tamburo rotante veniva utilizzato per la cernita dei bozzoli in base alle loro dimensioni. Un'elica interna spingeva in avanti i bozzoli, che trovavano poi la via d'uscita attraverso le diverse sezioni del tamburo. I bozzoli, così separati, venivano raccolti in grandi ceste di vimini poste al di sotto delle due aperture inferiori.
In filanda i bozzoli erano messi a macerare in vasche di acqua calda (a 80°/90°), la sericina si scioglieva e il filo cominciava a dipanarsi, veniva quindi estratto il capofilo con uno scopino. In questa fase, detta di scopinatura, erano spesso impiegate le bambine più piccole.
Un’operaia più esperta univa più bave tra loro (i fili di seta ricavati dai singoli bozzoli) per avere un filo di seta che fosse possibile lavorare. La bava di un unico baco infatti è troppo sottile per essere utilizzabile.
Il filo veniva arrotolato sull’aspo per ottenere matasse di seta grezza.(fase della trattura)
Aspo: Questo aspo a manovella in legno molto semplice era utilizzato per avvolgere il filo di seta in matasse. Il filo veniva fissato ai bracci dell'aspo, girando la manovella si metteva in rotazione il mulinello che svolgeva il filo e formava la matassa sull'aspo.
Per sopportare le successive fasi di lavorazione, la matassa veniva trattata con sostanze oleose (imbozzimatura) e quindi trasferita dagli aspi ai rocchetti da inserire nel torcitoio (fase di incannaggio).
I Monti affidavano una parte del lavoro di incannaggio ai contadini, che lo svolgevano nelle case con incannatoi a mano o a pedale, una parte del lavoro era svolto da incannatoi meccanici che si trovavano agli ultimi piani del filatoio.
Incannatoio a mano: Strumento a manovella, impiegato nelle case dei contadini che trasferiva il filo di seta dalle matasse ai rocchetti. Con la manovella fissata all'asse, si faceva girare la grande ruota a raggi che trasmetteva il movimento, mediante una cinghia di trasmissione, alla piccola puleggia esistente sull'asse in cui era infilato il rocchetto.
Nella fase di torcitura i fili di seta grezza erano torti su se stessi per renderli più resistenti.
Nel torcitoio i rocchetti erano montati su fusi che ruotavano velocemente in senso verticale. Da quel movimento, i fili passavano su aspi che ruotavano lentamente sul piano orizzontale: il filo viene ritorto dalla combinazione di queste rotazioni, man mano che viene tirato dall’aspo.
Modello del grande torcitoio: Modello in scala 1:12 del grande torcitoio circolare del setificio Monti con la grande ruota idraulica esterna.
Aspo e cavatoia: L’aspo (che era montato all’interno del torcitoio e veniva estratto dal macchinario al termine del processo di torcitura, per togliere le matasse di seta) è qui appoggiato su un supporto (con due sedi in cui alloggiano i due perni dell'aspo). La cavatoia era impiegata per esaminare la matassa in uscita dal torcitoio e per l'inserimento della pantinatura (la legatura delle matasse per tenerle ordinate).
Cavigliera: Per evitare che le matasse di seta, una volta tolte dagli aspi, si aggrovigliassero annodando i fili, anche nelle manifatture industriali venivano utilizzati alcuni strumenti molto semplici, già in uso nella produzione serica a livello domestico. Uno di questi è la cavigliera, il cui scopo era semplicemente quello di fungere da supporto alle matasse in attesa di passare alle successive fasi della lavorazione.
Passatoia: Strumento per controllo delle matasse, mondatura ed esecuzione della pantinatura. La matassa da esaminare si stende fra i due rulli.
Tornello: Apparecchio per attorcigliare le matasse su se stesse. In forma di treccia la matassa si conserva meglio durante il trasporto.
Si infilava la matassa nel gancio e si ruotava la manovella, tenendo l'altra estremità con la mano, per attorcigliare la matassa. Si piegava la matassa a metà e si infilava un capo della stessa nell'anello che si era formato all'altro capo per fermare la treccia.
Telaio a mano: Nonostante dalla fabbrica Monti uscissero soltanto matasse di filato, si è ritenuto opportuno esporre uno strumento che testimoniasse la fase finale della produzione serica, ovvero la tessitura. Con il termine tessitura si indicano le operazioni necessarie per l’effettiva fabbricazione dei tessuti. Nei telai a mano come quello esposto, un tempo presenti quasi in ogni casa, la tessitura avveniva facendo passare un filo continuo (trama) attraverso una serie di fili paralleli (ordito), in modo che i due elementi si sostenessero reciprocamente
Alla fine del percorso nella sala, possiamo osservare alcuni prodotti finali della lavorazione della seta: tessuti, ricami e abiti. La seta è un tessuto pregiato e costoso, per questo motivo lo troviamo impiegato in momenti particolarmente significativi della vita. Qui esposti possiamo vedere una sottoveste di seta degli anni ’50 che faceva parte di un corredo matrimoniale e un abito da sposa della fine dell’800, entrambi donati al museo da una famiglia dell’area lariana.
Riattraversate quindi la sala 1 per ritornare sulle scale e visitare la piccola sala 3 che si trova immediatamente sulla sinistra, uscendo dalla sala 1.